Ricerca e sviluppo
Archivi > Ricerca e sviluppo
Nanotubi di carbonio
Negli ultimi decenni la tecnologia del silicio ha permesso la miniaturizzazione dei dispositivi elettronici, fino a consentire un forte sviluppo della microelettronica, caratterizzata dall’impiego di dispositivi di dimensioni dell’ordine del micrometro.
Recentemente, però, la necessità di integrare un numero enorme di dispositivi elettronici sul singolo chip, ha reso necessario lo sviluppo della nanoelettronica, volta all’implementazione di sistemi elettronici con dimensione dell’ordine dei nanometri e con prestazioni di gran lunga superiori di quelle dei dispositivi microelettronici.
La differenza sostanziale tra tecnologia micro e nanoelettronica è legata prevalentemente ai materiali impiegati; il silicio, infatti, protagonista dell’innovazione tecnologica degli ultimi trent’anni, risulta inadatto all’implementazione dei dispositivi nanoelettronici e viene praticamente sostituito da un nuovo materiale: i nanotubi di carbonio.
I nanotubi di carbonio sono stati scoperti nel 1991 da Iijima e rappresentano una delle forme cristalline del carbonio (dopo la grafite e il fullerene).
Si può distinguere tra nanotubi a parete singola (fig.1) e nanotubi a parete multipla (Fig.2); quelli a parete singola possono essere visti come un singolo foglio di grafite arrotolato per formare un cilindro, mentre quelli a parete multipla sono costituiti da più nanotubi a parete singola concentrici.
Fig.1
Fig.2
Ogni nanotubo presenta un elevato rapporto lunghezza-diametro, tanto da poter essere praticamente considerato una struttura monodimensionale.
SINTESI DEI NANOTUBI DI CARBONIO
Per sintetizzare un nanotubo di carbonio occorre la contemporanea presenza di una sorgente di carbonio e di un catalizzatore metallico (ferro, cobalto o nichel). Per innescare la crescita del nanotubo il catalizzatore metallico, posto su un apposito supporto, viene ricoperto da un film emisferico di carbonio (Fig.3).
Fig.3
Il carbonio, poi, tende a diffondere nel catalizzatore e, una volta raggiunto il supporto, dà inizio alla crescita della struttura, spingendo lo strato superficiale di carbonio ad allontanarsi dal metallo catalizzatore. Durante questo processo il catalizzatore può restare nella posizione originaria fungendo da base per il nanotubo (Fig.4), oppure può allontanarsi dal supporto rimanendovi collegato tramite il nanotubo stesso (Fig. 5).
Fig.4
Fig.5
APPLICAZIONI E SVILUPPI FUTURI
L’importanza dei nanotubi di carbonio è legata al fatto che queste nanostrutture possono esibire un comportamento metallico o semiconduttivo, a seconda della struttura geometrica che li caratterizza.
In particolare, i nanotubi metallici possono essere utilmente impiegati nella realizzazione di interconnessioni nanometriche tra dispositivi, consentendo di risolvere le problematiche legate alla miniaturizzazione dei circuiti. Inoltre, queste nanostrutture sono potenzialmente in grado di sopportare densità di corrente molto più elevate di quelle trasportate dalle attuali interconnessioni in rame, nonché di consentire un’ottima conduzione del calore.
Attualmente, però, esistono diversi ostacoli da superare per giungere alla realizzazione completa dei nanofili:
– difficoltà di trasferimento dei nanotubi dal supporto di crescita al chip;
– impossibilità di controllare le dimensioni dei nanotubi durante il processo di sintesi;
– incapacità delle attuali tecniche di sintesi di realizzare campioni uniformi.
Per quanto riguarda il problema del trasferimento dei nanotubi, si potrebbe pensare di sintetizzarli direttamente sul chip, ma le elevate temperature cui devono essere sottoposti il carbonio e il catalizzatore metallico durante le fasi di sintesi, non consentono di attuare tale soluzione. Recentemente, tuttavia, è stato testato un metodo nuovo per sintetizzare i nanotubi direttamente sul chip mantenuto a temperatura ambiente; sono stati creati, infatti, dei microponti sul chip in grado di raggiungere temperature elevatissime senza scaldare il chip sottostante e, su tali microstrutture, sono stati fatti crescere i nanotubi di carbonio. Questi ultimi, al termine del processo di sintesi, sono rimasti ancorati a una sola estremità del microponte e quindi, attualmente, l’ultimo ostacolo da superare resta quello di riuscire ad ancorare i nanotubi all’altra estremità del ponte, consentendo, in tal modo, la connessione tra i dispositivi presenti sul chip.
Un’altra importante applicazione dei nanotubi riguarda la possibilità di introdurre nella loro struttura atomi di drogante (azoto o boro) per la realizzazione di diodi nanometrici.
Tali diodi, però, potranno essere realizzati solo dopo aver risolto il gravoso problema di far crescere i nanotubi con specifiche forme e dimensioni.
Oltre ai nanofili e ai nanodiodi, i nanotubi potrebbero essere utilizzati per realizzare dei transistor a effetto di campo (FET) con elevate prestazioni in termini di velocità. La creazione di tali dispositivi potrebbe essere effettuata con le stesse modalità utilizzate per un FET tradizionale, sostituendo il canale tra source e drain con il nanotubo.
Il problema connesso alla realizzazione del nanotransistor, però, è legato all’incapacità delle attuali tecniche nanotecnologiche di isolare un singolo nanotubo e di posizionarlo tra i contatti del transistor.
Un’altra importante applicazione di queste nanostrutture riguarda la realizzazione di unità di memoria estremamente più veloci di quelle presenti attualmente sul mercato (ad esempio le memorie FLASH). Il principio di funzionamento è il seguente: su uno strato di elettrodi vengono sintetizzati numerosi nanotubi, i quali, durante l’applicazione di un campo elettrico, tendono a piegarsi verso il basso, creando un contatto con lo strato di elettrodi sottostante. La particolarità della struttura, oltre naturalmente alle dimensioni, riguarda la capacità dei nanotubi di mantenere il contatto anche in assenza di campo elettrico, consentendo di creare memorie RAM (Random Access Memory) in grado di mantenere i dati anche a computer spento.
I nanotubi, infine, possono trovare applicazione anche per la realizzazione di sensori di gas in quanto, dal punto di vista strutturale, presentano un elevato rapporto superficie-peso e, di conseguenza, risultano essere strutture miniaturizzate particolarmente adatte all’assorbimento di sostanze in fase gassosa.
CONCLUSIONI
A fronte di un numero così elevato di possibili applicazioni, i nanotubi di carbonio sono destinati, senza alcun dubbio, a diventare i protagonisti dell’elettronica del prossimo futuro. A rendere ancor più possibile una tale prospettiva è la recente scoperta di un team di ricercatori della University of California di particolari batteri viventi in grado di generare dei nanotubi semiconduttori. L’importanza di questa scoperta è legata alla possibilità di ottenere dei nanotubi in modo estremamente economico, anche se restano comunque irrisolte tutte le problematiche legate alla manipolazione dei nanotubi e al controllo delle loro caratteristiche geometriche.
I centri di ricerca di tutto il mondo, comunque, continuano a investire tempo e denaro sullo studio di queste straordinarie nanostrutture, data la sempre più diffusa convinzione di un imminente passaggio dalla microelettronica basata sul silicio alla nanoelettronica fondata sui nanotubi di carbonio.
(Estratto da: Elettronica Open Source articolo del 2009)